di Alessio Palmarini
Il dibattito pubblico è
(giustamente) dominato in questi giorni dalle primarie del Partito Democratico.
Un evento che vede la partecipazione di milioni di italiani e che in questo ha
un indubbio valore positivo per quanto concerne il riavvicinamento degli
italiani alla Politica.
Ciò premesso, volendo
analizzare il fenomeno un po’ meno in superficie, esse hanno un difetto di
origine: sono incompatibili con la struttura dei partiti così come svilupptasi
in Europa.
Lo strumento delle primarie
è infatti di derivazione americana, recentemente importato nel nostro Paese da
Walter Veltroni che, buttando il cuore oltre (con il senno di poi troppo oltre)
l’ostacolo, provò a trasformare un partito post comunista in uno kennediano.
A distanza di quattro
anni l’unico elemento sopravvissuto del disegno (utopia?) veltroniano sono
appunto le primarie. Al di là del fatto che si fondino su una finzione
costitutiva (l’articolo 92 della nostra Carta Costituzionale riserva al
Presidente della Repubblica la nomina del Presidente del Consiglio dei
Ministri), esse non sono compatibili con i partiti come sono strutturati in
Italia (e in Europa). Negli Stati Uniti, patria delle primarie, i partiti, al
di là delle loro rappresentanze congressuali, esistono esclusivamente nel
periodo elettorale. Non hanno organizzazione interna, non hanno iscritti.
La risultante di questo
innesto di un istituto adatto alla società americana su ciò che resta di un
partito che ha sempre avuto nel radicamento territoriale e nella struttura il
suo punto di forza, ha prodotto il minotauro delle primarie del Centrosinistra:
un minotauro sicuramente dotato di forza (motivazionale e rappresentativa) ma
che tenta la sintesi fra due nature che potrebbero andare facilmente in
cortocircuito: il movimentismo contro la politica degli apparati. La stessa
candidatura di Renzi (il suo leitmotiv sulla rottamazione ben esemplifica la
chiave di lettura proposta), con tutte le polemiche sulle regole che si è
portata dietro, ne è la prova provata.
All’elemento di
disturbo interno al Partito Democratico si è sommata la circostanza che fossero
primarie di coalizione: circostanza questa che è un vero e proprio “unicum”
italiano e che certo non contribuisce a semplificare i processi
post-elettivi (anzi li riporta nella migliore tradizione del Cencelli).
Le risultanze di questo
terremoto interno al Centro Sinistra ovviamente non ancora visibili ( pur se
c’è già qualche segnale locale) ma sicuramente (anche tenendo conto del
risultato elettorale) esso produrrà effetti che al momento non siamo in grado
di valutare.
A parere di chi scrive
bisognerebbe, se davvero si ritiene che le primarie siano un sistema di
selezione adatto alla realtà italiana (cosa di cui non siamo affatto certi)
assumerle con tutte le conseguenze: sciogliere il partito di iscritti e
trasformarsi in un soggetto politico simile al Movimento 5 Stelle o (se si
preferisce) alla primitiva Forza Italia.
Due soggetti politici
distanti tra loro ma che, per la loro non organizzazione, si presterebbero
ottimamente al meccanismo delle primarie.