Riceviamo e pubblichiamo una riflessione di Alessio Palmarini in merito alle offese della professoressa Dalia Collevecchio ai giovani di Avanguardia Studentesca.
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Alessio Palmarini |
Le passioni,
soprattutto quelle brucianti, se costituiscono spesso la molla che spinge
l’uomo ad agire, non dovrebbero mai esserne la guida. La correttezza di questa
massima morale, che è alla base di molte riflessioni etiche dal sorgere del
pensiero occidentale ai nostri giorni, mi è venuta in mente mentre leggevo le
parole riservate su Facebook da un’esponente di un partito politico della città
di Roseto a giovani ragazzi di un movimento politico di segno opposto al suo.
Questi ragazzi, ormai da quattro anni, si fanno promotori di una iniziativa
pubblica per ricordare uno degli avvenimenti che segnò il corso del XX secolo e
che, come ogni grande evento del passato, influenza ancora la nostra storia: la
caduta del muro di Berlino. La manifestazione ha uno svolgimento semplice e
pacifico: si crea un muro composto di scatoloni di cartone e su ogni mattone si
scrive sopra una cosa che si vorrebbe non ci fosse più. Alla fine della serata,
dopo un pomeriggio passato a discutere assieme e a cercare il dialogo su quei
temi con chi è disponibile, il “muro” viene fatto cadere.
Naturalmente si possono
avere giudizi diversi sui singoli temi posti all’attenzione dei passanti, ma
attribuire qualifiche di “fascista senza cervello” e “fottutissimi vermi servi
dei servi” a ragazzi che scendono in piazza in maniera pacifica per proporre
idee ad altri ragazzi non mi pare sia un atteggiamento rispettoso della dignità
altrui.
Questi toni non possono
trovare alcuna giustificazione. Non certo quella di uno sfogo dettato dallo
stato emotivo del momento come i toni scomposti farebbero pensare. Chi agisce
sulla scena pubblica (seppur piccola come quella locale) deve saper misurare le
parole.
Il rispetto prima di
reclamarlo, bisognerebbe in primo luogo offrirlo. Lo slittamento della polemica
politica dal piano ideale a quello personale è purtroppo un pessimo portato
della Seconda Repubblica e ormai impera dal piano nazionale a quello locale.
Parole così forti scagliate contro ragazzi però sono un altro confine che
speravamo di non vedere superato ed è con rammarico che constatiamo che Roseto
debba fregiarsi anche di questa medaglia.
Naturalmente questa
reazione molto scomposta non c’è stata per caso, ma è frutto di presunti
soprusi che si crede di aver subito. Questa circostanza, lungi dal costituire
una giustificazione, è segno di debolezza e frustrazione. Nei molti casi in cui
soprusi (piccoli e grandi), quelli sì non presunti ma effettivi, sono stati
compiuti in passato a colori politici invertiti (non è questa la sede per farne
un elenco, ma chi scrive non ha la memoria corta) mai si è scesi così in basso.
Crediamo che vi siano molti modi per far valere le proprie ragioni. Insultare
chi si avrebbe il compito di educare è sicuramente quello peggiore.
Momenti (e parole) di forte
dissenso nei confronti di questo o quell’ amministratore sono, in questo momento
di crisi economica, legittimi e comprensibili (purché non travalichino i
confini del buon gusto). Ma rivalersi, con l’astio covato nei confronti di
altri, su giovani ragazzi con insulti gratuiti, non fa certo onore a nessuno,
privato cittadino o esponente pubblico che sia. Né di certo fa onore a chi si
pregia di definirsi “non mezza dottoressa ma professoressa”.
Alessio Palmarini
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