giovedì 29 novembre 2012

PRIMARIE ALL' ITALIANA


di Alessio Palmarini

Il dibattito pubblico è (giustamente) dominato in questi giorni dalle primarie del Partito Democratico. Un evento che vede la partecipazione di milioni di italiani e che in questo ha un indubbio valore positivo per quanto concerne il riavvicinamento degli italiani alla Politica.
Ciò premesso, volendo analizzare il fenomeno un po’ meno in superficie, esse hanno un difetto di origine: sono incompatibili con la struttura dei partiti così come svilupptasi in Europa.
Lo strumento delle primarie è infatti di derivazione americana, recentemente importato nel nostro Paese da Walter Veltroni che, buttando il cuore oltre (con il senno di poi troppo oltre) l’ostacolo, provò a trasformare un partito post comunista in uno kennediano.
A distanza di quattro anni l’unico elemento sopravvissuto del disegno (utopia?) veltroniano sono appunto le primarie. Al di là del fatto che si fondino su una finzione costitutiva (l’articolo 92 della nostra Carta Costituzionale riserva al Presidente della Repubblica la nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri), esse non sono compatibili con i partiti come sono strutturati in Italia (e in Europa). Negli Stati Uniti, patria delle primarie, i partiti, al di là delle loro rappresentanze congressuali, esistono esclusivamente nel periodo elettorale. Non hanno organizzazione interna, non hanno iscritti.
La risultante di questo innesto di un istituto adatto alla società americana su ciò che resta di un partito che ha sempre avuto nel radicamento territoriale e nella struttura il suo punto di forza, ha prodotto il minotauro delle primarie del Centrosinistra: un minotauro sicuramente dotato di forza (motivazionale e rappresentativa) ma che tenta la sintesi fra due nature che potrebbero andare facilmente in cortocircuito: il movimentismo contro la politica degli apparati. La stessa candidatura di Renzi (il suo leitmotiv sulla rottamazione ben esemplifica la chiave di lettura proposta), con tutte le polemiche sulle regole che si è portata dietro, ne è la prova provata.
All’elemento di disturbo interno al Partito Democratico si è sommata la circostanza che fossero primarie di coalizione: circostanza questa che è un vero e proprio “unicum”  italiano e che certo non contribuisce a semplificare i processi post-elettivi (anzi li riporta nella migliore tradizione del Cencelli).
Le risultanze di questo terremoto interno al Centro Sinistra ovviamente non ancora visibili ( pur se c’è già qualche segnale locale) ma sicuramente (anche tenendo conto del risultato elettorale) esso produrrà effetti che al momento non siamo in grado di valutare.
A parere di chi scrive bisognerebbe, se davvero si ritiene che le primarie siano un sistema di selezione adatto alla realtà italiana (cosa di cui non siamo affatto certi) assumerle con tutte le conseguenze: sciogliere il partito di iscritti e trasformarsi in un soggetto politico simile al Movimento 5 Stelle o (se si preferisce) alla primitiva Forza Italia.
Due soggetti politici distanti tra loro ma che, per la loro non organizzazione, si presterebbero ottimamente al meccanismo delle primarie.

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